L’alluce valgo è una condizione comune che colpisce una percentuale elevata (circa il 30%) degli adulti di età superiore ai 40 anni, più frequentemente le donne.

Con questo termine si definisce una deformazione non congenita dell’articolazione del primo dito del piede che si sposta verso le altre dita e sviluppa una dolorosa sporgenza ossea a livello della testa del primo metatarso. Con il tempo l’alluce valgo porta a una compressione delle dita vicine causandone, a volte, la deformità a martello.

L’alluce valgo non è (solo) un problema estetico (la cosiddetta “cipolla”) ma, soprattutto, un problema funzionale di biomeccanica del piede: l’attrito tra l’osso e la calzatura provoca infatti difficoltà di deambulazione e nell’appoggio plantare, con possibili gravi conseguenze a carico della postura e di altre articolazioni.

La correzione chirurgica dell’alluce valgo può essere eseguita utilizzando numerose tecniche chirurgiche differenti, concettualmente molto diverse tra loro.

Nella procedura definita “open” (a cielo aperto), vengono effettuate delle incisioni cutanee che portano all’esposizione dell’articolazione, consentendone una visione completa. La tecnica prevede l’utilizzo di mezzi di sintesi che non devono essere rimossi e mantengono stabile la correzione ottenuta. Si tratta di una tecnica standardizzata, con una validità nel tempo dimostrata.

Per contro, la tecnica percutanea (ideata da Isham, un podiatra americano) si serve di un accesso mini-invasivo (incisioni di pochi millimetri invece di un’incisione più grande), senza visualizzazione diretta delle strutture bersaglio sottostanti, e non prevede l’utilizzo di mezzi di sintesi per fissare la testa del primo metatarso nella sua nuova sede (la correzione ottenuta viene fermata mediante dei bendaggi). Purtroppo questo non garantisce che non si verifichino rotazioni o scivolamenti durante il periodo post-operatorio, che possono portare a ottenere una posizione finale errata del primo metatarso.

Sebbene la tecnica di chirurgia percutanea, sia molto accattivante da tempo, dopo gli iniziali entusiasmi è stata posta in disuso negli Stati Uniti. Questa tecnica se usata in modo non corretto può danneggiare irreparabilmente le ossa, impedendo un possibile intervento riparativo successivo. Operando “al buio”, senza poter visualizzare la struttura anatomica da correggere, il chirurgo potrebbe infatti intervenire in modo eccessivo o, addirittura, erroneo.

Alla luce dei dati medici attuali, è giustificabile utilizzare la chirurgia percutanea?

Per rispondere a questa domanda, va precisato innanzitutto che allo stato attuale non esistono evidenze in letteratura che dimostrino la superiorità della tecnica percutanea rispetto alle procedure cosiddette “tradizionali”. Inoltre, la validazione scientifica della sicurezza e dell’efficacia della chirurgia percutanea dell’alluce valgo è inconcludente. Infine, da una recente review sistematica sull’osteotomia percutanea dell’alluce valgo è emerso che l’indicazione principale per la chirurgia percutanea è la correzione di deformità lievi, e che il tasso di complicanze è elevato anche quando la procedura viene eseguita da chirurghi esperti.

Di recente, per coniugare i vantaggi della chirurgia “percutanea” alla sicurezza e all’affidabilità della tecnica “a cielo aperto”, sono state introdotte delle tecniche chirurgiche definite “mini-invasive miste”, che hanno mostrato risultati molto positivi per il paziente.

Sono stato tra i primi in Italia a sperimentare la chirurgia mini-invasiva mista per la correzione dell’alluce valgo. Questa tecnica non sostituisce la chirurgia tradizionale, ma vi si affianca, con notevoli vantaggi: si riducono infatti le incisioni (e di conseguenza le cicatrici), la guarigione è più rapida, i dolori e gli edemi sono minori, consentendo una rapida ripresa funzionale e quindi un miglior gradimento dell’ intervento.